Cosa resterà di questi anni '80
In realtà non si parla del brano di Raf, ma di Guardians of the Galaxy 3
Quando uscì il primo Guardians of the Galaxy, la Marvel era di fronte all’ennesima scommessa.
Dopo il primo Iron Man, in cui la casa editrice aveva messo i propri soldi sul tavolo rischiando direttamente e non cedendo personaggi a Sony (Spider-Man) e Fox (X-Men).
Dopo il primo Avengers, in cui si chiedevano se il pubblico avrebbe seguito un film che era il seguito di di ben 5 film precedenti.
Adesso si trattava di lanciare personaggi sconosciuti al grande pubblico e in realtà non esattamente dei fan favourites dei lettori.
E per farlo fu chiamato un 48enne che veniva da una carriera che partiva dalla Troma, passava per l’indie (sia horror sia -già nel 2010 - con una critica durissima al nerdismo con Super - e fate attenzione perché ci torneremo) e si trovava per la prima volta a gestire un film ad alto budget: un tale James Gunn che oggi a 57 anni è co-presidente, co-amministratore e direttore creativo dei DC Studios. James è diventato un bimbo grande. E anche i suoi personaggi.
Ciao, questa è la newsletter di Adriano Barone, sceneggiatore, nerd di lunga data di fumetti Marvel e DC, un nerd stanco delle uscite cinematografiche e televisive dell’MCU ma che per caso è stato invitato a vedere GotG3 e pensa gli sia andata bene.
E che vi deve avvisare che da sotto l’immagine si andrà pesantemente di SPOILER, quindi leggete solo dopo avere visto il film.
Visto? Bravissim*!
Torniamo al 2014: Gunn vince la scommessa al 100%. Anzi, prendendo le mosse dall’approccio di Joss Whedon, spinge l’acceleratore sull’umorismo scemo e cogliendo a piene mani il recupero dell’estetica degli anni Ottanta (Stranger Things sarebbe arrivato due anni dopo, ricordiamolo) soprattutto nella colonna sonora, traccia una via che sarebbe stata percorsa dal resto dell’MCU ma senza quella che potremmo definire la sua “autorialità” (torneremo anche su questo).
Saltiamo ad oggi: GotG3 esce nei cinema, e in un periodo in cui il pubblico comincia a essere stanco dell’MCU, si ritrova davanti - a sorpresa, mi viene da dire -a un bel film. Il più misurato dei tre capitoli, con la sceneggiatura più equilibrata, con l’umorismo becero presente ma gestito in maniera ottimale, e soprattutto con un capitolo finale che - ricordate lo scorso episodio della newsletter? - in base a quello che vediamo sullo schermo, è sostanzialmente il racconto di tante, ma in particolare di una maturazione personale.
Se fosse stato uno shonen manga, avremmo avuto un eroe diventare il più forte di tutti e scoprire al contempo il valore dell’amicizia.
Nel percorso tracciato da Gunn, abbiamo una maturazione individuale che avviene tramite l’amicizia ma finisce in un altro modo. Un gruppo di reietti capitanati da Peter Quill che terminano un percorso personale scoprendo chi sono veramente. E per un blockbuster che dovrebbe solo intrattenere non è poco.
Alla fine dei giochi, cosa abbiamo?
(avevo detto SPOILER, eh)
Gamora, resuscitata, trova una nuova famiglia nei Ravagers.
Drax non più distruttore ma padre.
Rocket che scopre di poter affrontare il suo passato e di poter andare oltre il concetto di vendetta, e di potersi assumere responsabilità per gli altri come nuovo leader del gruppo.
Groot che muore, rinasce, diventa adolescente e poi adulto (e nel controfinale lo vediamo ANCORA più cresciuto: più metaforico di così…).
Kraglin “cresce”, Warlock “cresce” ed entrano a far parte dei “Nuovi” Guardiani: un simbolo, un concetto, non un ensemble fisso (e qui ci sarebbe da parlare ore del talento di Gunn nel rendere drammaturgica un’esigenza evidente di re-cast dei personaggi dopo un certo numero di film: ma torniamo sempre a una riflessione che esprimeremo più avanti).
Ma la crescita più inaspettata è quella di Peter Quill.
Pensiamo bene al suo percorso:
GotG 1: la morte della madre, un bambino solo e spaventato e senza padre che trova una sua dimensione in un mondo “fantastico” (prima coi Ravagers, poi coi Guardiani).
GotG 2: la riunione e il confronto con un padre che scopre essere il classico “padre da uccidere” per poter proseguire la propria crescita.
GotG 3: il superamento della fine del rapporto di coppia con Gamora, che gli dice (come sempre, lo dice un personaggio, è scritto, l’autore vuole raccontare qualcosa di molto specifico, non sto “inventando” o “deducendo”), sostanzialmente: “Non riesci a stare da solo/accettare te stesso/scavare dentro di te per crescere così tanto da aggrapparti a una storia d’amore finita/che non esiste più?”
Quill nel finale rischia di morire per recuperare quel maledetto walkman, simbolo di un trauma infantile mai superato del tutto: walkman che finalmente abbandona nel momento in cui pensa di stare per morire. E nel momento in cui lo lascia, viene salvato, guadagnandosi di fatto la salvezza.
I Guardiani restano nello spazio, a vario titolo, ma Quill torna sulla Terra in cerca del nonno materno. Quill torna letteralmente “coi piedi per terra”. Quindi, al di fuori del fatto di essere un film di supereroi spaziali, questa storia può essere letta come quella di un bambino vittima di un trauma devastante (la morte della madre per cancro) e della sua fuga (psicotica o meno) come meccanismo di difesa in un mondo “fantastico” (letterale, concreto, ma non per questo meno infantile, popolato di mostri e personaggi che si comportano la maggior parte del tempo come bambini, avete notato?), del superamento del trauma tramite un gruppo di amici (come detto in precedenza), di un primo step di crescita nei confronti di un padre irresponsabile che NON può essere una figura di riferimento, e nella consapevolezza che il passato va non abbandonato, ma finalmente affrontato: che i “sogni dell’infanzia” sono finiti, che bisogna pensare a cose vere, reali, perfino banali, come falciare un prato, un’attività decisamente “mundane”, ma che è quanto di più “concreto” si possa (americanamente) pensare (lasciamo stare che possa essere un pensiero borghese e bianco, non stiamo parlando di quello).
E sappiamo di non sbagliarci perché anche la “retromania” nei confronti degli anni ‘80 viene finalmente superata: un elemento tematico così esplicito che l’ultima canzone della colonna sonora (soundtrack onnipresente, e in modo molto consapevole, per tutto il film) è degli anni 2000, un brando di Florence and the Machine. Siamo tornati “all’oggi”. In un’operazione che SOLO col terzo film emerge, Gunn - esagero - come Hideaki Anno nel finale di Evangelion, ci fa capire che forse anche lui ci ha creduto, o forse ha usato la nostra nostalgia per gli 80s per portarci paraculescamente al cinema, ma ci dice anche basta. Possiamo andare oltre. Possiamo e dobbiamo diventare adulti.
Che poi le necessità lavorative abbiano portato Gunn a scrivere e dirigere un film di Superman è un altro discorso, e chissà se le costrizioni attuali dell’Hollywood contemporanea (dove o fai film super indie o devi lavorare su un’IP consolidata: al cinema le pubblicità dei film prima di GotG3 erano di: un sequel, un sequel, un sequel, un remake, un sequel e un sequel) permetteranno di portare avanti con coerenza delle istanze personali che evidentemente quest’uomo ha.
Ma come scritto poco sopra, il lavoro fatto su GotG3 è molto di più di quello che potremmo aspettarci da un blockbuster hollywoodiano fatto per staccare il cervello. E si trattasse anche di un ripensamento in occasione di un terzo capitolo che doveva in qualche modo chiudere un percorso non importa, perché come dice Lylla a Rocket: “Questa è sempre stata la tua storia.”, e un autore a volte scopre cosa sta raccontando solo mentre lo sta facendo, e se questa è la conclusione a cui arriva, anche dopo un po’ di tempo, anche cambiando idea, anche in maniera non programmata e non pianificata, è l’atto finale che dà senso a tutto.
Lasciamo quindi stare il lavoro ENORME fatto sul design, sulle citazioni assurde (tutto il momento sulla Orgocorp è una citazione da “Viaggio allucinante”, dove anche i colori e il set sono 60s), sui piani sequenza per i quali vorrei un making of frame by frame per capire come sono stati realizzati… James Gunn ha qualcosa da dire, e ha il talento per farlo all’interno di un sistema che è ormai pensato per castrare ogni briciola di voce autoriale. Poi che la “creatività” oggi a certi livelli significhi la capacità di far coincidere istanze personali con richieste degli Studios su IP non proprie, mi intristisce molto, ma è comunque ancora un altro discorso. In ogni caso questa skill Gunn, la possiede, a differenza di altri colleghi (Abrams, da un lato dello spettro, totalmente piegato a ogni richiesta degli Studios, e che affronta allo stesso modo - distaccato e senza guizzi - sia Star Wars che Star Trek o Filoni, dal lato opposto di questo spettro, che è un nerd durissimo che non dorme la notte per questioni di continuity di Star Wars che tengono sveglio solo lui, o ancora Waititi e la Zhao che prendono il materiale a loro affidato per raccontare cose proprie, il primo con un aspetto cafone, la seconda intellettuale, ma con lo stesso menefreghismo nei confronti dei fumetti originali).
So benissimo che molti di voi si aspettavano una newsletter minuto per minuto sullo sciopero della WGA, ma 1) lo sciopero è partito da troppo poco per valutarne le effettive conseguenze e ritengo più razionale lasciare passare un po’ di tempo per fare qualche valutazione (se siete curiosi, potete iscrivervi a Strikegeist, che farà una cronaca giornaliera dello sciopero) e 2) il tema è così vasto che ci sarà tempo per parlarne in abbondanza prossimamente.
E anche stavolta è tutto, alla prossima!