Go indie, young cowboy!
(nah, in realtà parliamo praticamente solo dell'ultimo film di Cronenberg)
La notizia di settimana scorsa che per un pelo non è rientrata nella newsletter, editorialmente parlando, è la decisione di Brian Keene di crearsi una propria casa editrice per pubblicare i suoi titoli, in cartaceo e in ebook. Oh, yes. Sicuramente per un autore di lingua inglese ha senso, perché come ci siamo detti nelle scorse newsletter:
1) a livello globale, le piattaforme e l’audio video in generale si concentrano su poche IP sfruttandole fino all’osso e farne emergere una è e sarà sempre più difficile;
2) gli indie publisher sono diventati ormai editori di fascia media (questo lo diceva lo stesso Keene).
3) chi meglio di te può pubblicare con cura (e mantenere i diritti de)i tuoi libri? Te stesso/a.
Quindi bravo Brian, e speriamo che gli vada bene. Nel frattempo iscrivetevi alla sua newsletter, dove ogni settimana il buon Keene segnala la messa in vendita a tempo limitato di uno dei suoi romanzi a 0,99 centesimi di dollaro.
Ci sarebbero parecchie cose di cui parlare, tra cui che finalmente su Preview 83 è stato annunciato ufficialmente che Nathan Never/Justice League esce a novembre (e in anteprima a Lucca 2022) ma tutto questo non conta, perché finalmente ho visto…
Crimes of the future
di Cronenberg, e non c’è altro di cui parlare.
Ma leggete solo se lo avete visto anche voi, perché entrerò nei dettagli e spoilero il finale, ergo se volete vederlo
NON
PROSEGUITE
NELLA
LETTURA
Perché ci sono
GROSSI
SPOILER
Ok, se siete ancora qui, proseguite a vostro rischio e pericolo.
Un capolavoro.
Uno dei pochi film che parla dell'oggi, e non si perde in inutili riflessioni su virtuale e metaverso.
Un film che ci dice senza mezzi termini che il sogno transumano si è infranto.
Cronenberg ci dice che l’unico sogno che ci è rimasto è lasciare che l'organico si adegui all'inorganico.
Non è più tempo del cyberpunk giapponese e del sogno dell’organico di diventare inorganico, come nel Tetsuo di Tsukamoto: “Trasformiamo tutto il mondo in metallo!” dichiarava delirante Taguchi alla fine del film. Una volontà di potenza che era anche una volontà di azione, di intervento sul mondo e sulle cose.
Nel mondo di Crimes of the Future no: possiamo solo “evolverci” (involverci? Devolverci?) in organismi mangia-plastica, diventare i riciclatori infiniti dei nostri stessi rifiuti. Mangeremo le nostre feci artificiali, e saremo felici di esserne in grado.
È il film che dichiara l'obsolescenza, anzi la morte, dell’utopia cyborg, e in effetti se ci pensiamo il Cyborg Manifesto di Donna Haraway risale ormai al 1985.
Oltre a dipingere uno scenario agghiacciante, Crimes of the Future riesce anche a trasformare la costrizione produttiva di girare ad Atene (tutte le riprese hanno avuto luogo nella capitale greca, e greca è la quasi totalità della troupe) in un pregio, rendendo il desolante affresco che dipinge ancora più grottesco: strumenti ipertecnologici immersi nello squallore urbano della città che è considerata convenzionalmente culla della civiltà occidentale. La quantità di sovrasignificati che questo elemento fornisce al film è pazzesca.
Oggi siamo solo virtuali, ma Cronenberg ci mette davanti al muso per un’ora e quarantesette minuti un piccolo dettaglio di cui ci siamo (o facciamo finta di esserci) scordati, a parte la nostra mortalità (a quello ci ha pensato il Covid): che abbiamo e viviamo in un corpo fisico.
Una delle critiche che si potrebbero muovere al film è che i temi di cui parla siano “passati”: questa è una baggianata che ho letto in diverse recensioni e neanche la consideriamo. Qualche base potrebbe avere invece l’osservazione che il futuro di cui parla è poco rilevante in quanto “retrofuturistico”, nel senso che - giusto per fare qualche esempio - gli accenni alla body modification fanno molto anni zero (non a caso la prima stesura dello script risale al 2003, quando la bod-mod faceva sì che una nicchia di persone -all’epoca visionarie- modificassero appunto il proprio aspetto fisico per diventare avatar che ci preparavano a un possibile futuro in cui gli esseri umani non sarebbero stati riconoscibilmente tali: una previsione di metà anni ‘80 di Greg Bear, per chi se la ricorda, postulata nel modo più completo nel conflitto tra Shaper e Mechanist da Bruce Sterling in una manciata di racconti e nel romanzo Schismatrix/La matrice spezzata, non a caso del 1985). E non a caso non ci sono social qui, non se ne parla, non sono accennati, i televisori sono ancora a tubo catodico e si scrive con la penna sulla carta.
Ma la scelta è chiara: nonostante viviamo virtualmente, socializziamo virtualmente, ci pensiamo e consideriamo virtuali, Cronenberg riporta tutto al corpo, al fisico, alla materia, al CIBO.
“Ricordatevi che viviamo in questo posto”, voce di uno che rantola rauco da uno schermo cinematografico, e terribilis est locus iste.
E “questo posto” è sempre più artificiale e disumano ed è solo un ricordo di un “prima”, un cumulo di macerie imbrattate di graffiti (ancora: l’Atene contemporanea, che è un reale luogo post-catastrofe. Non più atomica come in Akira, Mad Max e tutti i film del filone, ma economica). Infatti c’è l’ipertecnologia ma il suo scopo è, scopriamo desolati, semplicemente aiutare l’organico, ormai in totale degenerazione, a svolgere le proprie funzioni più basilari. Ipertecnologia nelle favelas: e infatti questo è forse uno dei pochi esempi dell’estetica favela chic ipotizzata dal solito Sterling già nel 2009 (qui trovate il transcript totale del suo speech - lunghissimo, 40 minuti!) durante il suo discorso di chiusura del Reboot 11 a Copenhagen.
Il futuro è dietro l’angolo, e mangeremo plastica in ruderi di città che ci ricorderanno che una volta l’umanità aveva aspirazioni più alte di consumare le proprie deiezioni artificiali, come abbiamo scritto prima. I crimini del futuro sono perpetrati nel presente, sono già scritti, hanno nel qui e ora la loro premessa e i reperti giudiziari, perché sono già stati compiuti.
I crimini del futuro sono la rinuncia al sogno, sono l’espressione di beatitudine del protagonista Saul Tenser (interpretato da un Viggo Mortensen fuori scala, e per favore guardate Crimes of the Future in inglese, perché non c’è doppiaggio al mondo che possa rendere la sua performance vocale) quando cede infine anche lui alla lusinga della plastica: anche la tecnologia rinuncia a mantenere funzionale il corpo umano, la sedia Breakfaster si ferma.
Saul Tenser: Saul, che si pronuncia come “Soul”, che continua a “tendere”, “tirare”, ma anche “contrarre” la sua anima, non è più “agente”, non agisce, non soffre più, si abbandona, è finalmente passivo. L’ultimo essere umano che provava dolore è diventato insensibile: e l’insensibilità è apparente felicità, ma come Cronenberg ci ha già diabolicamente anticipato per tutto il film, anche noia, nausea e disgusto della vita.
L’umanità è dichiarata colpevole.
La pena è l’eterno riciclaggio dell’artificiale che essa stessa produce.
Pensavamo di avere esaurito tutte le varianti possibili dell’inferno, invece ecco Cronenberg che ce ne infila una, tragica, in gola. E la scelta è tra la tensione costante al soffocamento di Saul e la nullificazione dei sensi, e quindi del sé.
Se siete arrivati fino a qui, potete scegliere se condividere questo retrogusto esistenzialista che vi ho lasciato con altri sventurati:
Oppure di invitarli a iscriversi per soffrire in maniera aperiodica: