Ci sono dei nuovi arrivati. Non so cosa ci facciate qui e se rimarrete, ma sappiate che qui ci piacciono le saghe. Ovvero, citando l’amico e collega Andrea Carlo Cappi, ci piacciono le saghe mentali, in particolare analisi di ogni aspetto della cultura pop e dell’entertainment, mainstream o meno (oggi si va di mainstream).
Streaming Wars
Su questo argomento riporto solo una news immagino già nota ai più che comporta però una serie di riflessioni (essendo mie riflessioni, nerissime): Disney+ nei suoi dati sul terzo trimestre 2022, ha rivelato di avere un totale di 221,1 milioni di clienti di streaming a livello globale, superando il totale di Netflix di 220,67 milioni in tutto il mondo (qui un’analisi di questo evento storico per lo streaming, e una neanche troppo velata presa in giro delle attuali strategie di WB/Discovery).
Anch'io non pensavo a un sorpasso in tempi così brevi. La forza di Marvel + Star Wars + catalogo Fox/ABC/Hulu + Disney/Pixar per famiglie con bambini è dunque invincibile? Netflix comincerà a distribuire i propri prodotti in uscite settimanali oltre ad adottare la formula SVOD (per altro: solo l’1% degli abbonati Netflix gioca ai videogames Netflix)? Comincerà a produrre meno? Anche a livello locale? Si continuerà a produrre meno a livello locale (HBO Max ha già staccato la spina all'estero) in generale? Guardando la situazione da un punto di vista italiano, le piattaforme sono stata l'unica scossa al sistema Rai-Mediaset-Sky. A prescindere dagli esiti dei prodotti, sono state almeno sparigliate un po' le carte, c'è stata almeno su carta un po' di sprovincializzazione da parte di certe realtà. Però: se Netflix finché è stato leader irraggiungibile del mondo streaming considerava strategica la produzione a livello locale, adesso che non risulta più da leader di settore, chi glielo fa fare a Disney+, Prime Video, Paramount+ di produrre localmente (ribadisco, HBO ha già tagliato tutto tranne in Francia e Spagna, mi pare)? Lo faranno 1) nei mercati dove c'è margine di crescita (India, Giappone), o comunque "strategici" per questioni linguistiche (UK, Spagna, Francia) o 2) mercati che hanno saputo dimostrare di saper creare prodotti graditi a livello globale (Sud Corea, Giappone per gli anime). L'Italia purtroppo non appartiene a nessuna delle due categorie. D’altro canto, l'Italia non è mai stata in alto nella classifica degli investimenti, quindi potrebbe non cambiare nulla: in fondo, produrre qui costa poco rispetto all'estero, perché nonostante l’estrema burocratizzazione e la pressione fiscale fondamentalmente qua la catena delle maestranze costa meno. Vedremo.
I manga di Shonen Jump dell’epoca d’oro, cosa è successo dopo e come siamo messi (spoiler: male)
Che stia scavando nei vicoli ciechi del pop ve ne ho già parlato la scorsa volta. Che mi sia venuta la fissa per gli shonen manga, compreso il recupero di quelli del periodo d’oro di Shonen Jump, è un effetto collaterale. Quindi recentemente mi sono concesso una scorpacciata di titoli battle shonen.
Per la prima volta mi è capitato di rileggere, finalmente per intero, Saint Seiya di Masami Kurumada. Ora, spiegare cosa significhi per i Gen-Xers come me questo anime è difficile, ma tra fine anni ‘80 e inizio anni ‘90, e prima dell’arrivo di Dragon Ball, Ken il guerriero e I cavalieri dello zodiaco erano il mainstream degli anime per ragazzi in tutto il Bel Paese. All’epoca chi subiva la trasformazione in otaku, a Milano, andava da Yamato o Nipponia e recuperava a prezzi folli VHS di anime inediti (di solito se ne comprava uno a testa e ce li si scambiava tra amici). Ma per chi non entrava nell’abisso del nerdismo, quelli erano “i titoli”. Rileggere il fumetto nel 2022 è stato sconcertante. Posto che Kurumada non è mai stato un genio del disegno, è incredibile quanto il manga sia ripetitivo, cosa che la mia mente di adolescente non percepiva durante la visione dell’anime. Soprattutto: dopo la saga delle 12 case, arrivano nuovi cattivi, alcuni cattivi diventano buoni e viceversa senza la minima spiegazione e con una superficialità di motivazioni imbarazzante. Inoltre i combattimenti seguono tutti lo stesso noiosissimo schema: botte, apparente vittoria, apparente sconfitta, vittoria causa maggiore determinazione morale e voglia di vincere del personaggio positivo. Ma se questo è vero per esempio anche in Dragon Ball (che tuttavia aveva molte più varianti, più storyline, più personaggi), in Saint Seiya la ripetizione è tale che anche la “vignetta della vittoria” finale è SEMPRE IDENTICA: col vincitore che tende la mano verso l’alto e lo sconfitto travolto dal colpo che vola per aria, con uno sfondo “adeguato” al colpo. L’unica variante vera erano le armature al cui design è evidente che l’autore dedicava molta cura (probabilmente si intuì il potenziale transmediale del concept da subito). Sconcertante, ripeto. Pensare che oggi Saint Seiya abbia ormai un numero di spin off incalcolabile di manga, anime, videogiochi, un film live action in arrivo mi fa riflettere su cosa attenda certi mangaka dopo avere avuto anche una sola hit, anche solo di livello globale. Indizio: Tetsuo Hara sta ancora proseguendo Ken il guerriero, con le storie dello zio di Kenshiro nella Shanghai degli anni ‘30. Tradotto: spremere quell’unica hit fino al giorno della propria morte (in cui si arriva in ritardo al proprio funerale perché anche da morti si è in consegna).
Ma visto che appunto si parlava di vicoli ciechi e di perle da recuperare, Sakigake!! Otoko Juku di Akira Miyashita (uscito in una sola edizione per Star Comics che a causa delle scarse vendite lo fece uscire solo in fumetteria), altro recupero fatto grazie a eBay, è un mistero. Il primo mistero è come abbiano potuto anche solo pubblicare un concept del genere: una scuola speciale accoglie tutti gli studenti espulsi dalle altre scuole superiori del Giappone per forgiarli secondo un’educazione militare e principi tradizionali giapponesi (confuciani) per renderli “veri uomini”, ovvero coloro che guideranno il Giappone nel futuro, dato che la democrazia ha rammollito la gioventù nipponica (parliamo degli anni ‘80 e del periodo di maggiore “edonismo capitalistico giapponese, in piena Baburu Keiki). Capito? Un editor ha ascoltato questo concept e ha detto “MI SEMBRA UN’OTTIMA IDEA.” Fantastico. Il Giappone è il paese più bello del mondo. Ora, che una cosa così di destra (non proprio fascista, eh, parliamo di quella destra nazionalista esemplificata per esempio da Yukio Mishima, che sicuramente è una delle fonti di ispirazione del fumetto) sia non solo stata approvata, ma sia stata una delle serie di punta di Shonen Jump, è l’altro mistero, e mi fa pensare che nel periodo d’oro (economico ed editoriale) che era il Giappone degli anni’ 80 andasse bene tutto, o forse che davvero pensiamo di capire qualcosa che in realtà è molto sfuggente, e che la nostra parzialissima conoscenza di quel mondo (anche solo editoriale) ci faccia fare analisi profondamente incomplete, quindi errate. Questa serie durò la bellezza di 34 volumi, e Miyashita ha proseguito la sua carriera (indovinato) di fatto solo creandone seguiti e spin off, anche per case editrici diverse da Shueisha (e parliamo di “robette” dai 25 volumi in su, eh). Altro esempio di “cosa succede ai grandi autori giapponesi dopo un breve momento di gloria” (grandi in Giappone, eh. Che Miyashista voglio vedere chi lo conosce in Italia, posto che l’anime non è mai arrivato e il film live action di Otoko Juku lo guardi proprio solo se sei completista. Sì, l’ho visto, ed è terribile. Non guardatemi male). Ma appunto: posta la premessa allucinante, cosa succede in Otoko Juku? Beh, inizia come gag manga, e dopo diventa un battle manga [e qui, scusate la parentesi, non smetterò mai di consigliare la lettura di Bakuman a chi aspira a diventare sceneggiatore, dato che il passaggio da gag manga a battle manga è una delle tante “strategie vincenti” di cui si parla in una delle conversazioni tra i protagonisti mangaka e il loro editor, assieme a tante altre considerazioni interessantissime sulla scrittura seriale]. Ma senza neanche fare finta di voler raccontare una storia: per diversi motivi, gli studenti sono coinvolti in tornei di arti marziali, uno dopo l’altro, lunghissimi, che devono vincere a ogni costo per la sopravvivenza della scuola, tra morti apparenti seguite da ricomparse a sorpresa che dopo un po’ non sono più tali perché il gioco si ripete sfrontatamente SEMPRE UGUALE. Le tecniche usate sono le più STUPIDE che abbia mai visto (il livello è “seconda serie di Jojo”, ma appunto, più tonto), ma tutto è raccontato con una serietà incredibile (le famose “risate serie”: vedere sempre Bakuman), e a ogni tecnica assurda, l’autore si produce in una vignetta di spiegazione in cui parla di una qualche antica tecnica cinese a cui si è ispirato, con tanto di riferimento bibliografico e fantasiose etimologie di parole occidentali che ti fanno subito inarcare il sopracciglio: nasi subito che c’è qualcosa che non va, e infatti nell’intervista nel volume finale il mangaka ammette serenamente che si è inventato tutto, ogni singola tecnica. Tutte stronzate. Meraviglioso. Ma perché vi parlo di questa follia disegnata in uno stile che ricorda Tetsuo Hara e con i character che sono un misto tra Ken il guerriero e le prime due serie di Jojo? Perché… qui c’è qualcosa. Posto che il sottogenere della school rumble in Giappone ha avuto comunque un certo successo (nobilitato anche da esperimenti come Crows Zero di Takashi Miike), mi chiedo perché per parlare a un pubblico di teenager in occidente non si sia mai affrontato, come sottogenere dell’action. Timori delle associazioni dei genitori? Non abbiamo le uniformi? Pericolo di veicolare un messaggio fascista? Non so, ma ribadisco. Qui c’è qualcosa, e bisognerebbe ragionarci (cioè dovrebbe farlo qualcuno più intelligente di me, ma ci siamo capiti).
Per tornare al topic “quello che succede a un autore di successo dopo una hit”, invece ci spostiamo verso Hirohiko Araki, che invece il successo internazionale l’ha raggiunto davvero, grazie anche alle trasposizioni anime (l’ultima di Jojo è davvero ottima e fedele) e ai videogiochi. Jojolion, l’ottava serie di Jojo (significa che seguo ininterrottamente questa serie da quasi 30 anni, dato che su Shonen Jump Jojo apparve nel 1987, ma in Italia arrivò nel 1993. Cristo.) è appena terminata, e il mio unico commento possibile è che “Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene”. Capisco che il destino di un mangaka sia scrivere e disegnare sin sul letto di morte, ma sia che Araki sia “intrappolato” da questa serie, sia che la prosegua con convinzione, a me risulta ormai davvero quasi incomprensibile: per farla breve, a volte non capisco i funzionamenti degli stand, e mi chiedo letteralmente che cosa stia succedendo. Non capendolo, mi limito a proseguire e vedere chi ha vinto. Le spiegazioni non le capisco mai. Araki continuerà a produrre storie di Jojo e io pur non capendole continuerò a leggerle? Temo di sì. Cosa questo implichi non so, ma non sono sicuro che mi piaccia.
Un mangaka che invece aveva fatto una scelta di vita sana era stato Kazuki Takahashi, l’autore di Yu-Gi-Oh!: 38 volumi, 80 milioni di copie del manga, anime e soprattutto un gioco di carte che dagli anni ‘90 a oggi continua a vendere. Takahashi aveva smesso di disegnare ai ritmi massacranti a cui sottopone una rivista settimanale di manga e si era messo semplicemente ad amministrare gli spin off multimediali della sua creazione più famosa: ma dato che viviamo nel mondo reale e non in un bel posto, è morto a 60 anni mentre faceva immersioni subacquee, il cadavere parzialmente consumato dalla fauna locale. Allegria. Tuttavia una riflessione sull’impero costruito da Takahashi è doverosa: grazie a Yu-Gi-Oh! l’uomo ha creato il card game più venduto della storia (sì, più di Magic), e quindi forse oggi a qualcuno potrebbe venire in mente di ripetere il colpaccio…
…peccato che i card game siano profondamente cambiati, e non c’è più l’idea della collezione se non per IP molto forti (come appunto Yu-Gi-Oh! o Magic): oggi compri un card game, tutte le carte sono dentro alla confezione, giochi, e poi passi al nuovo card game. Oh yes. Quell’opportunità è sfumata. Eh, viviamo in tempi così.
Cosa resterà degli shonen manga? Attack on Titan è stata l’alternativa al jumpismo prima dell’arrivo di My Hero Academia ma soprattutto di Demon Slayer, che ha frantumato ogni record di vendita (con una media di vendita a volume superiore a Dragon Ball) ma è terminato, e ora Jujutsu Kaisen è il nuovo top selling manga (vanno bene anche Tokyo Revengers e SpyXFamily)… in qualche modo le formule sembrano ripetersi, e lo shonen manga è SEMPRE stato formulaico, almeno dagli anni ‘80 in poi, e ogni bolla è destinata a scoppiare. Forse chiedersi cosa resterà del manga significa chiedersi cosa resterà del fumetto a livello mondiale. Comunque anche nel manga mainstream contemporaneo qualche perla esce. Per chi ha avuto la fortuna di leggere Chainsaw Man di Tatsuki Fujimoto, in mezzo ai combattimenti ha potuto godere di un’opera incredibilmente rilevante per i nostri tempi: i deficit cognitivi dei personaggi corrispondono ai deficit emotivi, come alla mancata soddisfazione di bisogni fisici primari. Un manga che parla di persone danneggiate o comunque non adatte a vivere in maniera consapevole. Penso sia geniale proprio per questo. In passato si faceva su un versante specifico e su singoli personaggi (vedi Spock e Data in Star Trek sul versante emotivo), mai personaggi così a pezzi come questi (e sono TUTTI a pezzi, per diversi motivi). L'umorismo e i momenti buffi servono a far digerire vite che sono delle tragedie per povertà emotiva, fisica e anche intellettuale (il che impedisce ai personaggi pure di capire le ragioni della propria infelicità, perché manca proprio consapevolezza e gli strumenti intellettuali sono appunto inadeguati: il protagonista pensa che sarà felice semplicemente avendo un tetto sopra la testa e avendo l’opportunità di fare pasti regolari. Ma poi si accorge che felice non è. E non sa e non riesce a capire perché. Struggente e trafico). Non posso spoilerare inoltre la “battaglia di palle di neve”: ma è la dimostrazione di come in formule stanche come quella del battle shonen manga, una profonda sensibilità personale permetta di creare varianti artisticamente significative anche su tropi narrativi che sembrano ormai esauriti e svuotati.
E ora che questa sbrodolata sui manga è terminata, voi mi direte: quindi?
Quindi niente. Mi sembra chiaro che l’unico vero linguaggio fumettistico internazionale sia e sarà per diverso tempo solo il manga, mi sembra chiaro che il metodo di promozione globale dei manga siano le loro trasposizioni in anime, mi sembra chiaro che in occidente continuiamo a non capire perché i manga e anime vendono (o almeno hanno successo) ma perché film o serie tv tratte dai fumetti non trainano in modo significativo le vendite a fumetti (spoiler: perché le trasposizioni in anime sono FEDELI ai manga a livello di tratto: se guardi un anime e leggi un manga, “ritrovi” lo stesso prodotto, lo stesso mondo, riconosci un character design molto simile. Questo non avviene con i live action. Paradossalmente la cosa più simile che è stata fatta in occidente è stato “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare). Si tratta di un sistema produttivo rodato da decenni, e o viene “costruito” scientemente o “fare” semplicemente fumetti in stile manga (e anche lì: con tutti i fraintendimenti occidentali su “cosa sia davvero il manga”, che è primariamente un modo di raccontare e non uno stile di disegno) in occidente, non ci porterà non dico alla pari, ma neanche vicini a quello che fa il Giappone.
Allegria!
[comunque non è commovente pensare che in un mondo sempre più dominato da poche IP che vengono sfruttate all’infinito - e ahimè come visto dal sorpasso di Disney + su Netflix, pare che il metodo in un mondo globalizzato funzioni - il Giappone, con un metodo molto basico e quasi primitivo, ovvero l’ispirazione di un singolo autore, aiutato da un editor, con l’autore che si ammazza a produrre 18 pagine alla settimana - su una rivista (penso a Shonen Jump in particolare) dove il successo viene misurato dai sondaggi e la tua serie viene spietatamente interrotta se non ha successo nei medesimi - sia l’unico altro luogo al mondo dove vengono create IP globali e multimediali? A me commuove]
Fantascienza, cioè raccontare il futuro evitando gli stereotipi e il mio problema con la fisica quantistica
Dicevo che tutta questa ricerca non mi aiuta comunque nella scrittura di ciò a cui sto lavorando ora, cioè un pitch di fantascienza che dovrebbe nelle intenzioni avere stake molto alti, essere super complesso date le implicazioni della premessa narrativa… e avere una spiegazione soddisfacente al mistero che è la base della storia. [Cosa che mi fa tornare su una riflessione di anni fa legata a Lost, ovvero che se fai partire una storia con un evento misterioso, il famoso “mystery box”, non c’è spiegazione che possa soddisfare l’audience/i lettori (probabilmente ci si avvicinò Russell T. Davies con Torchwood - Children of Earth, ma parliamo di una mini del 2009)]. Che palle. Ma appunto, non volendo essere pigro e non volendo buttarla su un “ecco gli alieni” con una delle tante varianti super rodate, e volendo invece rivolgermi a un versante leggermente (leggermente: non ho un curriculum di studi scientifico) più hard sci-fi, mi sono messo ad ascoltare audiolibri e leggere libri di fisica quantistica. Quando mai. I musoni (non sono persone tristi, sono delle particelle) non servono per quello che voglio raccontare, hanno un decadimento molto rapido e comunque non spiegano il problema della dark matter. Allora la supersimmetria? Il modello di Wess-Zumino? E il collasso della funzione d’onda? David Bohm propone la sua interpretazione che si basa sulla teoria dell’onda pilota di De Broglie, secondo cui le particelle quantistiche sono accompagnate e guidate da onde che sono onde di materia: cioè ipotizza che ci sia solo una funzione d’onda che dirige tutto l’universo e che non crolla mai ma sembra farlo in alcuni punti a causa della de-coerenza, che agisce tra la funzione d’onda locale e quella del resto dell’universo. Che faccio? La postulo io la funzione d’onda universale? Cosa implica averla scoperta? E le applicazioni pratiche? AAAAARGH! Non ci capisco nienteee!!!
Va tutto bene. Rilassatevi. Staccate almeno per Ferragosto. Il mondo non crollerà se vi fermate, anche se crollerà la funzione d’onda.
Sei matto!