Troubling times ask for deep work and digging in dead ends
Come sapete (ora lo sapete), sono un fan della cultura e dell’entertainment britannica e la BBC secondo me è l’esempio più fulgido a livello globale di come una tv pubblica vada gestita. Every news about BBC è di mio interesse, anche i corollari. Quindi quando leggo che secondo un rapporto della Camera dei Lord sul futuro finanziamento di BBC, il canone potrebbe essere sostituito da un addebito aggiuntivo sulle bollette delle tasse comunali del governo locale, interrompendo il legame tra l'addebito e la proprietà di una TV e consentendo alle famiglie a basso reddito di pagare meno, ragiono su quanto la crisi economica cominci a colpire i beni voluttuari: del resto quasi mezzo milione di consumatori nel Regno Unito hanno abbandonato l'universo SVOD nel secondo trimestre di quest'anno all’interno di una crisi del costo della vita nel Regno Unito. Questo mentre il governo del Regno Unito cerca di privatizzare l'emittente commerciale Channel 4, citando un modello di finanziamento insostenibile.
Nel frattempo Netflix introduce la funzione a pagamento "aggiungi una casa" in cinque paesi per combattere la condivisione dell'account e non dico che molli il modello del binge, ma cerca variazioni di messa on line anche solo separando in due parti una stagione, cosa che fa esplodere i calcoli di minuti visti.
Questo articolo che parla dell’approccio ai contenuti locali e della loro importanza nelle percentuali di subscribers, e questo che dice che gli USA si preparano ad accogliere contenuti internazionali mai come prima nella storia, mi lascia perplesso su quale sia la posizione italiana al riguardo, in cui mi pare (posso sbagliare) che l’occhio sia sempre rivolto a un mercato locale con un pubblico frammentatissimo in nicchie, ma mai all’appeal internazionale (ripeto: posso sbagliare).
Nel frattempo: HBO Max non fa uscire Batwoman (non ve lo linko perché se ne è parlato ovunque), ma in base a quelli che sono i piani futuri per il gruppo Warner Bros/Discovery HBO Max verrà sostituita o integrata in un nuovo servizio streaming, ci sarà un roll out internazionale, ma in Italia (e Germania e UK) si aspetta fino al 2026, perché gli accordi in essere con Sky durano fino al 2025. Insomma, avrò 50 anni quando (se) potrò pitchare un progetto a HBO Italia. Considerando crisi climatica, arrivo della recessione in autunno e crisi tra USA e Taiwan, manco so se ci arrivo.
Per finire la panoramica sullo streaming, una notizia bomba per gli autori passati in sordine: la WGA vince una causa con Netflix e fa pagare 42 milioni di dollari in residuals. Se questo significherà un trattamento più equo da parte degli streamers, che vada oltre la semplice flat fee non lo sappiamo, ma è un passo importante in quella direzione.
Audioserie
Inutile dire che di tutto il panorama dell’entertainment, in questo momento il fermento maggiore è nell’audio, sia per quanto riguarda i podcast che le audioserie (ovviamente non in Italia). Julian Simpson, un autore che seguo da anni e che firma audioserie interessantissime per BBC si lancia in una acuta disamina sull’ottimo momento per le audioserie, la libertà creativa che concedono a costi irrisori e ai rischi dell’ingresso delle major di cinema e tv che vogliono e vorranno omologare il prodotto.
Deep work, deeper perspective, riaprire i vicoli ciechi
Insomma, tempi isterici. L’unica reazione possibile, per quanto mi riguarda, è scendere e fermarsi. Fermarsi per fare cosa? La mia soluzione personalissima è mentre cerco di osservare il presente facendo due o tre passi indietro, svolgere uno sguardo al passato. Il mio discorso riguarda solo il mio lavoro, quindi presumo che chi legge possa condividere. Difficilmente un babbano potrebbe condividere. Ma guardare il passato significa capire non solo da dove veniamo, ma anche capire in che momento o in quali momenti certe strade hanno preso svolte specifiche che hanno portato a dove siamo. Questo implica un approccio diverso sia al consumo (che porta alla produzione) di entertainment, sia al metodo di lavoro. Warren Ellis in qualche numero fa di Orbital Operations diceva:
“la gente non parla più DEL proprio lavoro. Parla di cose ATTORNO al proprio lavoro, decora la conversazione globale on line con il proprio lavoro, mette in relazione il proprio lavoro con la conversazione attuale - e se il lavoro in primis riguarda SOLO la conversazione (che era l’obiezione che si faceva al kitsch e alla pop art), è mai stato un lavoro davvero creativo o solo un prodotto per il doomscroll [questo non l’ho tradotto perché non credo ci sia modo efficace di renderlo in italiano]? E se ti fossi appena dimenticato della conversazione, perché la conversazione è fine a se stessa e in realtà non ha nulla a che fare con il lavoro? La conversazione riguarda la conversazione. Lasciatela alle spalle. Crea qualcosa che viene da te.” (maiuscole e corsivi miei)
Fermarsi. Respirare profondamente. Fare dei passi indietro. Recuperare il passato e recuperare la prospettiva.
Ma soprattutto: riaprire i vicoli ciechi. Diversi autori che seguo stanno parlando di una parte di ricerca di “recupero dei classici”. Perché? Perché il mainstream deriva da alcuni capisaldi, di cui qualche elemento è stato sviluppato, ma ALTRO è stato dimenticato. Perché? Non è che in questi “vicoli ciechi creativi” si nascondono gemme, percorsi inesplorati che invece dovremmo riaprire a forza, a martellate se necessario, e trovare strade nuove che permettano di sfuggire alla pappetta informe che è diventata la cultura pop? “you can never be sure what’s been left by the wayside, which routes to the future got overgrown and hidden”, disse sempre Warren Ellis in una delle sue newsletter di giugno. E a proposito di vicoli ciechi e gemme inesplorate…
Good ol’ (British) TV
…ho finito di vedere (in originale, senza sottotitoli. Giustamente i britannici si chiedono chi cazzo possa essere così pazzo da guardarsi queste cose all’estero) grazie al santo Antonio Serra due capolavori di Nigel Kneale: The Stone Tape (1972, andato in onda a Natale) e Beasts (1976). The Stone Tape è - penso - il primo racconto “mainstream” in cui viene proposta la teoria che i fantasmi non siano “spiriti del passato” ma vere e proprie “registrazioni”, frammenti di spaziotempo destinati a ripetersi all’infinito. Incredibile l’approccio scientifico alla ghost story e di come Kneale, oltre ad avere l’idea, la problematizzi subito: ad esempio, riflettendo che se un evento viene registrato, potrebbero esserci eventi PRECEDENTI sopra i quali si registra questo evento… e se l’evento che ha scatenato l’apparizione del primo fantasma fosse… un altro fantasma? Cosa c’è PRIMA, all’origine di tutti i fantasmi? Un capolavoro televisivo riconosciuto.
Meno riconosciuta è la qualità di Beasts, che già a livello di concept è talmente alto che mi chiedo come Kneale sia riuscito a farselo approvare: fondamentalmente si parla di “animali” in tutti gli episodi, animali che… non vengono mai mostrati e sono metafore di pulsioni e desideri primitivi degli esseri umani. Inutile parlare dei singoli episodi senza averli visti, ma incredibile come in 5 episodi su 6, gli episodi non siano altro che denuncia del profondo sessismo dei suoi tempi, e degli abusi (perpetrati in vario modo) dagli uomini sulle donne. Questa mini di episodi autoconclusivi dovrebbe essere studiata in tutte le scuole di sceneggiatura, e non dovremmo stupirci poi che dagli UK arrivino antologie come Black Mirror.
(Nigel Kneale è davvero un nome per addetti ai lavori, infatti in UK il suo nome è conosciuto per lo più da altri sceneggiatori. Ma ho scoperto che un capitolo di “The Weird and the Eerie” è dedicato a lui, quindi ho acquistato il volume di Fisher [perchè sono scemo e non mi sono accorto che c’era già in italiano] e mi crogiolo nel mio snobismo elitario, e ovviamente vi invito a entrare nel club e a ricercare ogni cosa possibile di Kneale [la sua bio, “Into the Unknown” di Andy Murray, ve l’ho già consigliata]).
Fraintendimenti
Nasce Einaudi Ragazzi Comics. Una neutra analisi di marketing suggerisce che il logo si presenta come vecchio e finge maldestramente di essere nuovo. Si parla di “fumetti ma non proprio fumetti” perché in fondo a chi fa cultura “vera” i fumetti non interessa pubblicarli davvero. Per altro quello che vende sono i manga, ma chi lavora in editoria legge solo i rapporti AIE e vede la categoria “fumetto” come una massa indistinta in cui è tutto uguale e - viene da pensare- non entra mai in libreria, dato che le scaffalature chilometriche dedicate ai manga sono sotto gli occhi di tutti: il risultato della collana “Ragazzi Comics” pare quindi una collana di libri illustrati (divinamente) per bambini nella quale forse più avanti uscirà qualche graphic novel, che anche con la potenza di fuoco distributiva di Einaudi, presumibilmente produrrà risultati di vendita non eccelsi (eufemismo). Mi fermo qui, che faccio già fatica a rimanere posato.
Passa in edicola, Skorpio ti aspetta
Ve l’ho già detto, ma lo ripeto: dal numero di Skorpio in uscita dall’11 agosto, verranno pubblicati a cadenza (credo) settimanale i primi 4 episodi (di 8) di Mezzaluna, horror femminile e femminista scritto con Francesco G. Lugli e disegnato da Elena Cesana. Dopo l’uscita, forse qualche riflessione o forse no.
Come sempre, sharing is caring, ma ricordatevi di farlo solo con buogustai(e) come voi. See you next time.